Dal primo
gennaio sono scattati i sei mesi di tempo per
decidere che cosa fare del Tfr maturando
(nell’articolo spiegheremo il concetto). Con la
regola del silenzio-assenso circa undici milioni di
lavoratori dei settori privati sono chiamati a
decidere sul loro destino previdenziale. Con questo
articolo ci proponiamo di spiegare nel dettaglio le
regole che presiedono alla scelta e di introdurre i
primi elementi di conoscenza sul funzionamento dei
fondi pensione, che sono stati pensati a suo tempo -
negli anni novanta - per integrare le pensioni
pubbliche. Prima di entrare nel merito delle due
questioni (regole e funzionamento dei fondi
pensione) è bene chiarire un punto: se inizialmente
si sceglierà di non destinare il proprio Tfr ai
fondi pensione, avremo comunque la possibilità di
ripensarci e cambiare idea in un secondo tempo. È
arrivato quindi il momento di informarsi bene,
discutere con i propri rappresentanti sindacali,
documentarsi per poi scegliere con la massima
serenità, ma anche con la massima partecipazione e
convinzione. I sindacati confederali Cgil, Cisl, Uil
hanno ottenuto una prima vittoria, all’epoca del
governo di Berlusconi, cancellando la regola del
trasferimento obbligatorio del Tfr ai fondi
pensione, così come era stato pensato dall’ex
ministro del Lavoro, Roberto Maroni. Con l’attuale
regola del silenzio-assenso ci possono essere però
due diversi atteggiamenti da parte del lavoratore:
un atteggiamento attivo o un atteggiamento passivo
(silenzio). La Cgil privilegia la massima
partecipazione del lavoratore e invita quindi a una
scelta esplicita sul Tfr, anche perché con un tema
così importante per il futuro di tutti noi la scelta
attiva è sicuramente la più efficace e anche la più
logica. Vediamo dunque di che si tratta.
Sei mesi per decidere
Secondo le norme approvate dal governo prima della
fine dell’anno (tra il decreto legge di novembre e
il varo della legge finanziaria per il 2007), ci
sono sei mesi di tempo per decidere cosa fare del
Tfr, trattamento di fine rapporto, meglio noto come
liquidazione. Il Tfr è un accantonamento che si
calcola sommando le quote accumulate dividendo per
13,5 la retribuzione dell’anno e rivalutando ogni
anno le quote passate con un tasso pari a 1,5% più
il 75% del tasso di inflazione. Si tratta quindi di
una somma “certa”, regolata dalla legge e rivalutata
di poco ma a un valore definito. Il Tfr è una parte
della retribuzione e non è uno strumento
previdenziale, anche se negli anni ha assunto anche
una funzione di cuscinetto o ammortizzatore sociale,
visto che la legge prevede la possibilità di
chiedere anticipi per ragioni di salute, familiari o
per acquisto dell’abitazione. Ma con le grandi
riforme degli anni novanta e in particolare con la
legge Dini, il Tfr ha assunto anche una nuova
funzione in campo previdenziale visto che si è
cominciato a considerarlo una delle possibili fonti
dell’accantonamento per la previdenza complementare.
Nello stesso tempo però le imprese hanno utilizzato
il Tfr come fonte del finanziamento per le attività
imprenditoriali. Hanno utilizzato il Tfr del
lavoratore come se fosse un prestito. Con quest’ultima
riforma della previdenza complementare il
legislatore ha individuato il Tfr “maturando”,
ovvero quello che si formerà dal primo gennaio 2007
in poi (e non quello che abbiamo maturato fino a
dicembre del 2006), come fonte primaria del
finanziamento dei fondi pensione per tutti quei
lavoratori che ancora non hanno aderito a una forma
di previdenza complementare, oppure che vogliono
incrementare i contributi per quelle già esistenti.
Per questo si dovrà decidere se mantenere il Tfr
presso il proprio datore di lavoro, oppure se
destinarlo a un fondo pensione. I sei mesi di tempo
per la “grande scelta” sono scattati dal primo
gennaio e si concluderanno il 30 giugno prossimo. O
scatteranno dalla data dell’assunzione, per tutti
coloro che saranno assunti dopo il primo gennaio
2007.
Ecco chi sceglie: quelli assunti
prima del ‘93
Per quanto riguarda i lavoratori dei settori
privati, le differenze previste dalle norme sono
dovute all’età anagrafica e contributiva. La prima
grande distinzione riguarda la data di assunzione.
La seconda sottodistinzione riguarda l’essere o meno
già iscritti a una forma di previdenza
complementare, oltre a una forma obbligatoria
pubblica. La prima categoria riguarda quindi tutti i
lavoratori che sono stati assunti prima del 28
aprile del 1993. Ai lavoratori che sono stati
assunti prima del 28 aprile 1993 e che quindi da
quella data sono iscritti a una forma di previdenza
obbligatoria, verrà chiesto se sono d’accordo a
trasferire il loro Tfr maturando. A differenza di
quelli che sono stati assunti dopo quella data, i
lavoratori di questa prima “fascia” hanno la
possibilità di destinare ai fondi pensione solo una
partedel Tfr maturando, mentre gli altri che
decideranno per i fondi pensione dovranno trasferire
tutto l’ammontare del Tfr che si maturerà. E se tra
questi lavoratori assunti prima dell’aprile 1993 dal
punto di vista previdenziale ce ne sono di già
iscritti anche a una forma di previdenza
complementare, allora essi avranno la possibilità di
confermare la scelta per quel fondo pensione,
mantenendo la stessa quota di contribuzione, oppure
di variarla. Versando la parte residua del Tfr.
Ecco chi sceglie: gli assunti dopo
l’aprile del ’93
Per i lavoratori assunti dopo la data “spartiacque”,
la scelta sarà un po’ diversa. Dovranno infatti
decidere che cosa fare di tutto il Tfr maturando (e
non solo di una parte come può succedere come
abbiamo visto per i loro colleghi di lavoro assunti
prima del ‘93). Questa seconda categoria di
lavoratori deve scegliere quindi se rinunciare a
tutto il Tfr che maturerà dal primo gennaio 2007 in
poi per trasferirlo in un fondo di previdenza
complementare, oppure tenere in azienda la
liquidazione che rimarrà così a disposizione del
datore di lavoro, ma solo nel caso in cui l’azienda
ha meno di 50 addetti (ci torneremo meglio dopo).
Per tutte le aziende con almeno 50 addetti, il Tfr
che non viene destinato dal lavoratore a una forma
specifica di previdenza complementare, non rimarrà a
disposizione del datore di lavoro, ma dovrà essere
trasferito alla Tesoreria di Stato che a sua volta
lo affiderà all’Inps per la gestione. I capitali
accumulati da questo trasferimento all’Inps saranno
utilizzati dallo Stato per investimenti in opere
pubbliche. Al lavoratore rimangono attribuiti
comunque tutti i diritti oggi vigenti per il Tfr. Se
un lavoratore vorrà chiedere per esempio un anticipo
sulla sua liquidazione per ragioni sanitarie,
familiari o magari per l’acquisto dell’abitazione,
potrà farlo secondo le norme attualmente vigenti. E
si dovrà rivolgere sempre al datore di lavoro anche
se quest’ultimo avrà trasferito il Tfr all’Inps o al
fondo pensione secondo l’indicazione del lavoratore
stesso. Le lavoratrici e i lavoratori devono anche
sapere che la loro scelta dovrà essere fatta con
precise modalità. Secondo le norme più recenti
varate dal governo, la scelta potrà essere esplicita
o tacita (silenzio-assenso), ma in ogni caso ci
vuole l’apposito moduloda indirizzare al datore di
lavoro per esplicitare le intenzioni dei lavoratori
e delle lavoratrici a proposito della previdenza
complementare. Se si vuole investire il Tfr in un
fondo pensione si dovranno indicare nel modulo i
termini del fondo che si sceglie. In caso di
diniego, si dovrà comunicare al datore di lavoro la
volontà di tenere il Tfr presso il datore di lavoro.
Il tutto entro la scadenza del 30 giugno 2007. Un
mese prima dalla “scadenza” dei sei mesi, il datore
di lavoro è tenuto comunque ad avvisare i suoi
dipendenti che il tempo sta appunto per scadere.
Anche questa comunicazione dovrà avvenire in forma
scritta.
Ecco chi sceglie: quelli che stanno
zitti
Come abbiamo visto nel corso dei sei mesi, il
lavoratore o la lavoratrice hanno la possibilità di
scegliere sia in modo esplicito (il modulo al datore
di lavoro) sia in modo tacito. In questo secondo
caso si possono verificare varie ipotesi a seconda
delle “categorie” di lavoratori interessati. Se si
tratta di un lavoratore che è stato assunto prima
del 28 aprile ’93 e che alla data del primo gennaio
2007 risulta iscritto/a già a una forma di
previdenza complementare, nel caso in cui non dica
nulladurante i sei mesi, alla scadenza del periodo
il datore di lavoro provvederà a trasferire il
residuo del Tfr maturando al fondo pensione a cui è
già iscritto. Se invece il lavoratore che durante i
sei mesi non dice nulla è stato assunto prima del 28
aprile ’93, ma alla data del primo gennaio 2007 non
risulta iscritto a nessuna forma di previdenza
complementare, allora alla fine del periodo, il suo
datore di lavoro trasferirà l’intero Tfr maturando
alla forma pensionistica collettiva prevista dagli
accordi e contratti collettivi, anche territoriali,
salvo sia intervenuto un diverso accordo che ne
prevede comunque la destinazione a una forma
collettiva (es. fondi negoziali, fondi aperti ad
adesione collettiva). In presenza di più forme
pensionistiche collettive applicabili, il Tfr
maturando sarà trasferito alla forma pensionistica
negoziale alla quale hanno aderito il maggior numero
di lavoratori. Nel caso in cui non esistano per
questo lavoratore/lavoratrice forme di previdenza
complementare collettiva già istituite, allora il
datore di lavoro provvederà a trasferire il Tfr
maturando (sempre nel caso di silenzio del
lavoratore) al fondo residuale Inps, che sarà
gestito come tutte le altre forme di previdenza
complementare. Infine, il percorso appena descritto
vale anche per l’intero Tfr maturando di quei
lavoratori che durante i sei mesi non dicono nulla,
che sono stati comunque assunti dopo il 28 aprile
1993 e che non sono iscritti a nessuna forma di
previdenza complementare.
Ecco chi sceglie: meglio
decidere (anzi scrivere)
Come abbiamo già detto sopra, la Cgil invita i
lavoratori a una scelta esplicita e dunque attiva.
Le regole stabilite dal governo prevedono la
possibilità di comunicare la propria scelta. Ogni
comunicazione – sia da parte del lavoratore, sia da
parte del datore di lavoro – dovrà avvenire in forma
scritta utilizzando l’apposita modulistica. Si
possono verificare quindi vari casi, a seconda della
dimensione delle aziende. Se un lavoratore fa sapere
che vuole mantenere il suo Tfr in azienda, questo
rimarrà affettivamente nelle casse della società
solo quando ci sono meno di 50 addetti. Per le
aziende dai 50 in su, se il lavoratore o la
lavoratrice non opta per il fondo pensione, il Tfr
andrà alla Tesoreria di Stato, ma sarà gestito dall’Inps.
Rimangano però valide tutte le norme relative al Tfr
e in caso di richiesta di anticipi il lavoratore
dovrà comunque sempre rivolgersi all’azienda.
L’altra scelta esplicita è ovviamente quella
relativa al fondo pensione. In questo caso il
lavoratore ha la possibilità di usufruire della
parte di contribuzione del datore di lavoro per
incrementare il fondo pensione (oltre che delle
agevolazioni fiscali), cose che perderebbe nel caso
in cui decidesse di mantenere il Tfr in azienda. Ma
vediamo allora come si costruisce la previdenza
complementare.
Che cos’è un fondo pensione
Spiegate sommariamente le regole che presiederanno
alla scelta dei lavoratori, cerchiamo di capire a
questo punto il tema centrale, ovvero il
funzionamento di un fondo pensione. Prima di tutto
c’è da dire che secondo le norme varate con la legge
istitutiva dei fondi pensione del 1993, la
previdenza complementare può essere determinata da
tre strumenti diversi: il fondo pensione negoziale
(o di categoria), il fondo pensione aperto che può
essere ad adesione individuale o collettiva e le
polizze individuali (Pip o Fip). In genere il fondo
pensione negoziale, previsto appunto dalla legge del
’93, viene istituito dalle parti con un accordo come
forma di previdenza integrativa destinata solo ai
lavoratori di quella singola categoria (da qui il
termine fondo negoziale). Le parti istitutive del
fondo negoziale stabiliscono le modalità di adesione
e si incaricano di organizzare le gare per
l’attribuzione delle risorse raccolte dai lavoratori
a un gestore esterno. Per legge, infatti, le
funzioni devono essere rigidamente distinte e
separate: il fondo (con il suo consiglio di
amministrazione) decide le linee orientative (il
tipo di investimenti) e si occupa del controllo
sulla gestione. Il gestore finanziario (che in
genere è una Sgr, società di gestione del risparmio)
si occupa di attuare le scelte di investimento e di
valorizzare il portafoglio finanziario degli
associati al fondo. Infine le risorse sono
depositate e gestite da una banca depositaria. C’è
dunque una tripartizione del poteri che è stata
pensata dal legislatore per evitare il più possibile
i conflitti di interesse e assicurare un
funzionamento trasparente e sicuro del fondo
pensione, che per sua missione, pur utilizzando
strumenti finanziari, deve avere carattere di
prudente e corretta gestione. A sua volta il fondo
pensione (come soggetto giuridico) dispone di tre
organismi per il suo funzionamento: l’assemblea (in
via di principio tutti gli associati), il consiglio
di amministrazione e il collegio dei revisori
contabili. Diverso il discorso per i fondi pensione
aperti e per le polizze individuali (Pip), ma in
questo momento cerchiamo di concentrarci sul
funzionamento dei fondi pensione negoziali, perché
sono quelli che interessano più direttamente le
lavoratrici e i lavoratori che saranno chiamati a
scegliere sul loro Tfr e perché sono anche – tra
tutte le forme di previdenza complementare – quelli
finora più sicuri dal punto di vista della
trasparenza, dei costi e delle prestazioni. Detto
questo bisogna anche precisare – per dovere di
completezza di informazione – che in Italia tutti i
fondi pensione negoziali sono a contribuzione
definita e non a prestazione definita. Siamo cioè
sicuri di quello che versiamo, ma non possiamo
essere certi di quello che avremo perché dipende
dall’andamento dei mercati finanziari. È comunque
calcolato che la previdenza complementare debba
coprire una percentuale che oscilla tra il 15 e il
20 per cento della pensione. Se cioè la pensione
pubblica sarà il 60 per cento dell’ultima
retribuzione, la pensione integrativa dovrebbe
assicurare quel 15-20% in più che porterebbe la
pensione complessiva all’80 per cento dell’ultima
retribuzione.
Da dove vengono i soldi
del fondo?
La rendita futura dei lavoratori che aderiscono a un
fondo pensione si costruisce negli anni attraverso
la gestione finanziaria delle risorse accumulate.
Queste risorse che poi devono essere valorizzate
attraverso la gestione finanziaria hanno due fonti
principali: i contributi dei lavoratori e dei datori
di lavoro e il Tfr. Il contributo versato dal datore
di lavoro viene in genere stabilito dagli accordi
collettivi. Secondo le ultime norme varate dal
governo alla fine del 2006, dal primo gennaio 2007,
si può aderire alle forme pensionistiche
complementari anche mediante il solo conferimento
del Tfr futuro. Tale adesione non comporta l’obbligo
di versamento di altri contributi, né da parte del
lavoratore né del datore di lavoro. L’aderente può
tuttavia decidere di versare ulteriori contributi,
determinandone liberamente l’importo; in tal caso,
se gli accordi o contratti collettivi lo prevedono,
ha diritto al versamento dei contributi a carico del
datore di lavoro. Il datore di lavoro può comunque
decidere, pur in assenza di accordi collettivi, di
versare un contributo a proprio carico alla forma
pensionistica complementare alla quale il lavoratore
abbia aderito. Nelle forme pensionistiche
collettive, gli accordi e i contratti stabiliscono
la misura minima della contribuzione (in cifra fissa
o in percentuale della retribuzione) dei lavoratori
e dei datori di lavoro.
In caso di riscatto
Dal primo gennaio 2007 si ha diritto a una pensione
complementare dopo aver maturato i requisiti di
accesso alla pensione obbligatoria pubblica e con
una iscrizione di almeno cinque anni a una forma di
previdenza complementare. Chi ha già il diritto di
godere di una pensione integrativa può scegliere di
percepirla solo come rendita, oppure di richiedere
una parte in soldi (al massimo fino al 50% del
capitale totale maturato). Molto delicato e molto
interessante è il discorso che riguarda i casi in
cui il rapporto di lavoro si dovesse interrompere e
quindi si dovesse interrompere anche l’accumulo per
la previdenza complementare. La norma prevede che il
lavoratore che dovesse perdere i requisiti alla
partecipazione alla forma di previdenza
complementare, può trasferire la sua posizione ad
altra forma pensionistica complementare legata alla
nuova attività o mantenere la sua posizione
individuale accantonata presso il fondo, anche in
assenza di contribuzione. Il riscatto può essere
richiesto anche in caso di richiesta di mobilità da
parte del datore di lavoro o di cassa integrazione
(è possibile riscattare fino al 50% della posizione
maturata), in caso di disoccupazione tra i 12 e i 48
mesi e infine nei casi in cui la disoccupazione sia
superiore ai 48 mesi o in caso di invalidità
permanente. Tale facoltà non può essere esercitata
nel quinquennio precedente il raggiungimento dei
requisiti di accesso alle prestazioni, mentre
sull’importo erogato al netto dei contributi già
assoggettati ad imposta si applica una ritenuta a
titolo di imposta del 15% ridotta dello 0,30% per
ogni anno eccedente il quindicesimo, fino al limite
di riduzione del 6%. In caso di cessazione del
lavoro o di cassa integrazione tra i 12 e i 48 mesi,
è possibile riscattare il 50% del capitale
accumulato con una tassazione del 15%. Nel caso di
invalidità permanente e inoccupazione superiore ai
48 mesi è possibile riscattare anche il 100% del
capitale, sempre con la stessa imposizione fiscale.
Nel caso in cui si perdano i requisiti di
partecipazione (cessazione rapporto di lavoro),
poiché lo prevedono espressamente gli statuti dei
fondi pensione negoziali, è possibile il riscatto
totale, ma con una imposizione fiscale del 23%.
Le anticipazioni? Come per il Tfr
Per quanto riguarda un altro dei punti delicati
della riforma, le anticipazioni, le nuove regole
prevedono che dal primo gennaio 2007 ogni iscritto a
una forma di previdenza complementare può ottenere
in qualsiasi momento l’anticipazione della sua
posizione individuale (ovvero il capitale versato e
gli eventuali rendimenti annessi) fino al 75% della
stessa posizione individuale maturata. Ovviamente il
lavoratore deve dimostrare di avere bisogno di quei
soldi per serie ragioni di famiglia o sanitarie. Le
anticipazioni si possono ottenere però solo dopo 8
anni di iscrizione al fondo e sempre fino al 75%
della posizione maturata per i soldi devono essere
destinati all’acquisto o alla ristrutturazione della
casa per sé o per i figli e fino al 30% della
posizione individuale per ulteriori esigenze
dell’iscritto. Per un ammontare di anticipo fino al
75% della posizione maturata al momento della
richiesta, sull’importo erogato al netto dei
contributi già assoggettati ad imposta si applica
una ritenuta a titolo di imposta del 15%, ridotta
dello 0,30% per ogni anno eccedente il quindicesimo
fino al limite di riduzione del 6%. Per un ammontare
di anticipo fino al 30% della posizione individuale
maturata al momento della richiesta, sull’importo
erogato al netto dei contributi già assoggettati a
imposta si applica una ritenuta a titolo di imposta
del 23%.
Le agevolazioni fiscali
I vantaggi fiscali di chi sceglierà i fondi pensione
o di chi è già iscritto a una forma di previdenza
complementare variano in funzione del reddito. La
legge mentre non prevede deducibilità sul tfr,
prevede la possibilità di una deduzione fiscale dal
reddito Irpef dei contributi versati fino a un
massimo di 5.164,67 euro all’anno. Nella
deducibilità sono conteggiati anche i contributi a
carico del datore di lavoro. Per quanto riguarda i
rendimenti, ovvero la valorizzazione finanziaria del
capitale versato, essi saranno sottoposti
all’imposta sostitutiva dell’11%, che come si vede è
un’aliquota più bassa rispetto a quella applicata
sulle altre forme di investimento finanziario
(12,50%). C’è anche da sottolineare un’altra
differenza sostanziale tra la tassazione applicata
al Tfr e quella prevista per le prestazioni
pensionistiche complementari. Il Tfr è tassato con
l’applicazione dell’aliquota media di tassazione del
lavoratore e quindi essendo oggi l’aliquota Irpef
più bassa pari al 23% per i redditi fino a 26 mila
euro, l’aliquota applicata dal Tfr che rimarrà a
disposizione del datore di lavoro non potrà essere
inferiore al 23%. La parte imponibile delle
prestazioni previdenziali sarà invece tassata al
massimo fino al 15%, sui montanti delle prestazioni
a partire dal gennaio 2007 (gli altri alla
tassazione vigente al 2006) livello che potrà
scendere – in determinate condizioni – fino al 6%. È
sicuramente uno dei vantaggi più evidenti nella
scelta del fondo pensione, anche se sul piano
politico ha sollevato in passato polemiche sulla
diversa imposizione fiscale applicata alla
previdenza “privata” dei fondi pensione, rispetto a
quella pubblica della pensione obbligatoria.
Rendita, rendimenti e costi
La legge istitutiva della previdenza complementare
in generale prevede regole molto precise per la
fruizione dei capitali accumulati per la previdenza
integrativa. Una parte dei soldi accumulati negli
anni si può riscattare al momento dell’uscita dal
lavoro come capitale e una parte come rendita. Dal
primo gennaio di quest’anno, come prevedono le
regole, si ha diritto alla pensione complementare
dopo aver maturato i requisiti di accesso alla
pensione obbligatoria, con almeno cinque anni di
iscrizione ad una forma di previdenza complementare.
L’iscritto può scegliere di percepire la prestazione
pensionistica: interamente in rendita, mediante
l’erogazione della pensione complementare o parte in
capitale (fino ad un massimo del 50% della posizione
maturata). Nel caso in cui, convertendo in rendita
almeno il 70% della posizione individuale maturata,
l’importo della pensione complementare sia inferiore
alla metà dell’assegno sociale Inps (attualmente
pari a 381,72 euro mensili), l’iscritto può
scegliere di ricevere l’intera prestazione in
capitale. C’è infine da sottolineare che la
previdenza complementare ha dei costi per la
gestione amministrativa e finanziaria ci sono
diversi tipi di previdenza complementare, come
abbiamo visto sopra: i fondi pensione negoziali, i
fondi aperti e le polizze individuali. Per quanto
riguarda i costi di gestione e delle commissioni è
ormai accertato che i fondi negoziali sono i più
convenienti. I fondi aperti e soprattutto le polizze
continuano ad avere i costi più alti senza
assicurare d’altra parte i rendimenti migliori. |